Articolo di startmagazine a cura di Marco Dell’Aguzzo
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha imposto dazi su una serie di prodotti provenienti dalla Cina e necessari per le transizioni energetica e digitale: semiconduttori, batterie, veicoli elettrici, celle solari, minerali critici e non solo. Sono state inoltre alzate le tariffe sulle importazioni di acciaio, alluminio, dispositivi medici e gru portuali. Secondo le stime della Casa Bianca, le modifiche commerciali riguarderanno un giro d’affari di circa 18 miliardi di dollari all’anno.
Nel 2023 gli Stati Uniti hanno importato dalla Cina beni per 427 miliardi di dollari e vi hanno esportato per 148 miliardi.
LE MOTIVAZIONI DEI DAZI
Le nuove restrizioni sono motivate da ragioni elettorali – a novembre ci saranno le elezioni presidenziali e la Cina continua a influenzare le promesse e le invettive dei candidati -, ma anche da questioni politiche in un senso più ampio: la competizione tra Washington e Pechino riguarda infatti anche le tecnologie critiche per il futuro, e non a caso l’amministrazione Biden ha dedicato gran parte della sua agenda al riorientamento dell’economia americana verso i settori del green e del digitale. Il presidente ha precisato di voler vincere questa competizione con la Cina, ma di non avere intenzione di avviare una guerra commerciale che sarebbe dannosa per entrambi i paesi, vista la profonda interdipendenza economica.
In un comunicato, la rappresentante per il Commercio Katherine Tai ha commentato i dazi dicendo che l’”obiettivo statutario” della Casa Bianca è quello “di fermare gli atti, le politiche e le pratiche dannose della Repubblica popolare cinese in materia di trasferimento tecnologico, comprese le intrusioni e i furti informatici”.
Nel documento diffuso dalla Casa Bianca si parla inoltre di “rischi inaccettabili” per la sicurezza economica degli Stati Uniti causati dalla sovrapproduzione cinese che si riversa sui mercati globali e danneggia la concorrenza.
CONTRACCOLPO ECONOMICO?
La ragione politica deve però scendere a compromessi con le necessità economiche perché – come scrive Bloomberg – l’aumento delle tariffe commerciali rischia di causare un aumento dei prezzi per i consumatori statunitensi, molto sensibili all’andamento dell’inflazione: in altre parole, la mossa di Biden potrebbe ritorcerglisi contro. In diversi casi, comunque, i dazi si applicano a prodotti cinesi poco presenti sul mercato americano: svolgono dunque una funzione dissuasoria più che riequilibratrice.
SEMICONDUTTORI, BATTERIE, AUTO ELETTRICHE E NON SOLO: TUTTI I DAZI CONTRO LA CINA
I dazi rimarranno in vigore dal 2024 al 2026. Nella maggior parte dei casi, si tratta di tariffe su prodotti che prima di oggi non erano sottoposti a penalità oppure di raddoppio dell’aliquota; l’aumento più grande del contingente tariffario è quello sui veicoli elettrici cinesi, addirittura quadruplicato.
I dazi sui semiconduttori cinesi raddoppieranno, dal 25 al 50 per cento. L’amministrazione Biden, che ha incentivato con grosse somme la manifattura statunitense di questi dispositivi, vuole contrastare la presenza di Pechino nel segmento dei cosiddetti legacy chips, ovvero circuiti poco avanzati ma ancora largamente diffusi.
Su alcuni minerali critici per le tecnologie pulite, come la grafite naturale utilizzata per le batterie, verranno applicate tariffe del 25 per cento.
L’aliquota tariffaria sui veicoli elettrici cinesi passerà dal 27,5 per cento al 102,5 per cento; quella sulle batterie verrà alzata dal 7,5 per cento al 25 per cento; quella sulle celle solari dal 25 al 50 per cento.
Le gru ship-to-shore e alcuni prodotti in acciaio e in alluminio saranno soggetti a dazi del 25 per cento.
Gli Stati Uniti imporranno anche una nuova tariffa del 50 per cento sugli aghi e sulle siringhe made in China, e del 25 per cento sui respiratori, sulle mascherine e sui guanti chirurgici.
COSA FARÀ LA CINA?
Al momento, non è chiaro se la decisione degli Stati Uniti provocherà una risposta commerciale simile da parte della Cina.
Articolo di startmagazine a cura di Marco Dell’Aguzzo