Datore di lavoro e obbligo “vaccini” anti-Covid
La recentissima sentenza del Tribunale di Milano, sez. lavoro, n. 4390/2023 pubbl. il 19/12/2023 (all. 1), ha stabilito che il datore di lavoro non può invocare l’art. 2087 c.c. al fine di imporre – pena la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione – i cosiddetti “vaccini anti sars cov2” (in realtà dei medicinali di terapia genica, v. Vaccini Covid: contrasto tra AIC e normativa eurounitaria) ai dipendenti non obbligati all’inoculo dal decreto legge 44-2021.
Il giudice del lavoro ha altresì statuito che i predetti farmaci non possono essere imposti ex art. 279 del d.lgs. 81-2008, in quanto “il datore di lavoro non si può procurare il vaccino anti covid, perchè esso non è un prodotto liberamente disponibile in commercio”.
Per l’effetto, il Tribunale di Milano ha condannato il datore di lavoro a pagare alla ricorrente le retribuzioni relative al periodo di sospensione illecitamente disposta ex art. 2087 c.c.
Premessa in fatto
La ricorrente, dipendente con mansioni di addetta alle pulizie presso una delle tante RSA gestite dalla società datrice di lavoro, è stata sospesa una prima volta, dal mese di giugno al mese di agosto 2021, poichè dichiarata inidonea (causa omessa “vaccinazione” anti sars cov2) dal medico competente.
Riammessa al lavoro (ma non risarcita) in seguito al ricorso “SPRESAL” (art.41 comma IX del d.lgs. 81-2008), è stata nuovamente sospesa a ottobre 2021, in seguito all’entrata in vigore del d.l. 122-2021, che ha esteso l’obbligo erroneamente detto “vaccinale” a tutti i soggetti che svolgevano, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa presso strutture residenziali, sociosanitarie, socioassistenziali, etc.
È stata quindi licenziata non essendosi presentata al lavoro dal giorno 1.11.2022, per effetto della reintegrazione ex lege disposta dal d.l. 162-2022 (cessazione dell’obbligo c.d. “vaccinale”).
Prima sospensione – Impossibilità d’imporre i farmaci genici ex art. 2087 c.c.
Il Tribunale di Milano, in merito alla prima sospensione (giugno – agosto 2021), ha evidenziato che gli addetti alle pulizie non rientravano tra le categorie professionali obbligate alla c.d. “vaccinazione” in virtù del d.l. 44-2021 vigente ratione temporis: «per tali ragioni, stante la inapplicabilità della disposizione normativa di cui all’art. 2087 c.c invocata dalla resistente, la prima sospensione dal lavoro è illegittima e la società resistente è tenuta a corrispondere all’istante le retribuzioni relative al periodo dal 4.6.2021 al 1.8.2021».
Detta sentenza si pone in controtendenza rispetto ai provvedimenti (per lo più ordinanze ex art. 700 c.p.c.) finora emessi in tema di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per inadempimento dell’obbligo (pseudo) “vaccinale”.
Si ricordino, ex multis:
- l’ordinanza del Tribunale di Ivrea del 20.8.2021 (all. 2), secondo la quale «il potere di sospendere il lavoratore non vaccinato da parte del datore trovi fondamento nel principio di prevenzione che è alla base dei comportamenti doverosi dettati in materia dal T.U. n. 81/2008 (per quanto qui di interesse, in particolare, dagli artt. 41, 42 e 279) e dall’art. 2087 c.c. come specificato dall’art. 29-bis D.L. 23/2020 ed integrato dalle c.d. “misure innominate”, ovvero quelle suggerite dalle migliori conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Non si deve, inoltre, dimenticare la responsabilità che grava sul datore di lavoro nell’adempiere a precisi obblighi di protezione nei confronti dei terzi che entrino a contatto con la sua organizzazione imprenditoriale»;
- l’ordinanza del Tribunale di Modena del 19.5.2021 (all. 3), secondo la quale «a opinare diversamente e così ad escludere un obbligo (giuridicamente rilevante) di collaborazione da parte del prestatore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, si depotenzierebbe in misura più che significativa l’obbligo di sicurezza cui il datore di lavoro è sicuramente astretto ai sensi dell’art. 2087 c.c.»;
- l’ordinanza del Tribunale di Belluno del 19.3.2021 (all. 4), secondo la quale «ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa […], ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti».
E’ plausibile ipotizzare che il drastico cambio di orientamento giurisprudenziale, rispetto al precedente che sembrava ormai pietrificato, sia dovuto non tanto ad una più attenta riflessione giuridica quanto all’evidenza incontestabile che «i vaccini anti covid, non solo non sono anti sars cov 2 e cioè non impediscono la catena del contagio, ciò che è divenuto ormai un fatto notorio, ma non impediscono nemmeno la malattia severa, le ospedalizzazioni e i ricoveri in terapia intensiva dei vaccinati […]; anzi una gran quantità di studi scientifici indipendenti soggetti a revisione paritetica, danno evidenza di un’alterazione/riduzione della risposta immunitaria nei soggetti vaccinati sia rispetto al Sars Cov 2 che rispetto ad altri agenti patogeni e anche alle cellule tumorali, ciò che spiega il fenomeno del maggior contagio dei vaccinati e dello sviluppo anche della malattia severa della covid 19 e di altre malattie anche autoimmuni, proprio per la disregolazione del sistema immunitario» (Trib. Firenze, ordinanza del 20 novembre 2023, vedasi Danno da discriminazione sul lavoro al sanitario non vaccinato sospeso).
Seconda sospensione ex d.l. 122-2021
La seconda sospensione è stata ritenuta lecita dal Tribunale di Milano, poichè adottata in base alla lex specialis costituita dal d.l. 122-2021 che, modificando il d.l. 44-2021, ha esteso l’obbligo erroneamente detto “vaccinale” a tutti i soggetti che svolgevano, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa presso strutture residenziali, sociosanitarie, socioassistenziali, etc., e dunque anche alla ricorrente, addetta alle pulizie di una RSA.
Critica al ragionamento logico-giuridico sotteso alla ritenuta liceità della seconda sospensione
Gli argomenti utilizzati dall’ill.mo Tribunale milanese – absit iniuria verbis – sono di tipo giuspositivistico (si motiva come il dettato di una norma potesse prevalere sulla realtà dei fatti), essendo ovvio che l’idoneità oggettiva di una misura a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, o sussiste sempre, o non sussiste mai, a prescindere dalla norma generale (art. 2087 c.c.) o speciale (d.l. 122-2021) che la imponga.
Si pensi, ad esempio, ai caschi anti infortunio: essi sono sempre idonei a garantire la sicurezza del lavoratore, perchè gli evitano il trauma cranico. Lo stesso dicasi per le imbracature, che evitano all’operaio di cadere nel vuoto.
Detti presidi anti infortunistici possono essere imposti in base alle norme generali sulla sicurezza del lavoro, poichè oggettivamente idonei come mezzo al fine.
Lo stesso ragionamento avrebbe dovuto essere svolto dal Tribunale milanese in merito all’idoneità dei farmaci genici a proteggere i c.d. “vaccinati” dal contagio, dall’infezione e dalla malattia covid 19.
Essendo tale idoneità smentita anche dall’INAIL (nel 2021 vi sono stati 48.952 contagi covid denunciati, nel 2022 ve ne sono stati 119.873, pag.3, vedasi anche Trib. Firenze, ordinanza del 20 novembre 2023 sopracitata), il giudice del lavoro avrebbe dovuto concludere per l’illegittimità di un obbligo iniettivo inutile (se non controproducente), mentre, facendo prevalere la forma sulla sostanza, ha ritenuto lecita la seconda sospensione subita dalla ricorrente sol perchè prevista dalla lex specialis (d.l. 122-2021).
Conclusioni
Sorvolando sul fatto che il Tribunale milanese ha omesso di motivare su oltre 30 pagine del ricorso introduttivo contenenti eccezioni sul contrasto tra l’obbligo pseudo “vaccinale” (siccome imposto in Italia) e il diritto eurounitario (v. Obbligo vaccinale: si può disapplicare la norma interna che viola il diritto UE), lo scrivente avvocato ritiene che la questione inerente all’inefficacia dei farmaci genici e alla conseguente illogicità di sanzionare con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione i «renitenti» all’obbligo pseudo “vaccinale”, sia ormai ineludibile e troppo ingombrante da potersi nascondere come si fa con la polvere sotto il tappeto.
Il tema è certamente destinato ad essere affrontato nelle prossime sentenze, anzi vi sono già stati diversi giudici, tra cui il dott. Andrea Cruciani, GUP Napoli (all. 5), il dott. Giulio Cruciani del Tribunale di L’Aquila (cfr. Un giudice del lavoro che tutela il Lavoro) e la dott.ssa Susanna Zanda del Tribunale di Firenze (cfr. articolo su Studiocataldi.it sopracitato) che, discostandosi dall’orientamento della Consulta (cfr. sentenza 14-2023 C. Cost.), hanno ritenuto come fatto oggettivo, notorio ed incontestabile l’inidoneità dei medicinali genici a perseguire il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» declamato dall’art. 4 del d.l. 44-2021, e per l’effetto hanno disapplicato l’obbligo erroneamente detto “vaccinale” in quanto discriminatorio e incompatibile col diritto eurounitario (artt. 1 e 21 della Carta di Nizza), dotato di primazia su quello interno.
Avv. Roberto De Petro (foro di Palermo)