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La manipolazione del mercato azionario Usa, le macchine comprano mentre gli umani vendono.

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di Maurizio Novelli gestore del fondo Lemanik Global Strategy.

I volumi del mercato azionario Usa dominati per il 70% da algoritmi. L’analisi di Lemanik

Le “macchine” comprano mentre gli “umani” vendono. Fa molto riflettere l’articolo apparso sul Financial Times del 14 maggio (Algorithms prop up the market as fretful humans sit out the uncertainty), che descrive un’intensa attività “contrarian” da parte degli algoritmi, in una fase in cui il mercato azionario americano si è esposto ad elevati rischi di ribasso. Abbiamo assistito a un’anomala fase di rialzo delle borse mentre i tassi salgono, l’economia rallenta, i profitti scendono e le banche falliscono. In questa fase di elevata incertezza negativa, l’attività di trading “algo” si è intensificata ai massimi degli ultimi nove anni, facendo salire un mercato che era invece esposto al rischio di scendere. Fenomeni di questo tipo sono già emersi in passato e una buona parte di operatori, professionali e non, ammette che il mercato finanziario americano è ormai manipolato dagli algoritmi, che fanno circa il 70% dei volumi giornalieri del mercato azionario.

Gli investitori istituzionali sono praticamente usciti dal mercato e i flussi dei retail investors (ora il 10% di tutti volumi) hanno occupato il vuoto lasciato dalle istituzioni grazie alla creazione di piattaforme di trading a commissioni “zero” (Robinhood, Charles Schwab, Ameritrade, Interactive Brokers, ecc). Le commissioni “zero” vengono compensate dai profitti sui tassi d’interesse applicati sul leverage utilizzato dagli investitori privati americani, che di norma operano a leva 2/3 volte sul capitale investito. Le grandi istituzioni (Fondi Pensione, Hedge Funds, Fondi Sovrani, Family Office, ecc.) hanno gradualmente abbandonato il mercato azionario Usa già da qualche anno a causa delle valutazioni non più favorevoli, per la scarsa trasparenza dei bilanci e per l’intensa attività di buy back, fatta in molti casi per manipolare al rialzo gli EPS e sostenere i prezzi. Il flusso di uscita costante si è verificato in particolare tra il 2016 e il 2019 (BofA Global Research).

Risulta poi abbastanza sospetto che, mentre negli ultimi mesi i buy back sono saliti al record di sempre, i ceo delle società vendano azioni a ritmi record (CDT Capital management Insider Sentiment Ratio, Aprile 2023). È un’ulteriore conferma della scarsa appetibilità del mercato Usa, la recente newsletter di Berkshire Hathaway sulla chiusura del bilancio annuale della società di Warren Buffet, che evidenzia la mancanza di opportunità per veri investitori, al punto da indurre Buffet a migrare in Giappone (per la prima volta) alla ricerca di alternative. La “migrazione” dei capitali dei grandi investitori (Real Money) è in realtà iniziata già dal 2013/2014, con un deflusso medio di 1,5 trilioni di dollari all’anno, al punto tale che oltre 9 trilioni di dollari sono entrati nei Private Markets.

Questo fenomeno ha portato successivamente alla creazione del grande boom degli IPO, dato che gli investitori professionali hanno capito che era meglio acquistare le società non quotate a basse valutazioni, per poi venderle in borsa al retail investor e ai mutual funds (che sono sempre espressione di denaro retail) a valutazioni stratosferiche, scatenando così la mania per gli “unicorni”, società la cui profittabilità era scritta nelle favole.

Purtroppo la “migrazione” dagli asset liquidi a quelli illiquidi ha creato di fatto un’ulteriore bolla speculativa anche sui Private Markets, e ora ci troviamo nella paradossale situazione che gli investitori istituzionali, per sfuggire alle elevate valutazioni dei mercati azionari e obbligazionari, si sono inchiodati su asset illiquidi ad alte valutazioni e (per ora) a bassa redditività. Il fallimento di SVB evidenzia di fatto questa situazione, dato che la banca è saltata sulle perdite dei MBS e Treasuries, ma in realtà erano le società di Venture Capital che finanziava che bruciavano cassa e dovevano essere supportate all’infinito dal credito bancario che SVB non era più in grado di espandere. Una recente analisi di Morgan Stanley evidenzia come i grandi investitori privati (il top 1% più ricco) abbiano liquidato le loro posizioni, mentre le fasce più retail (il bottom 90%-80%) sia entrata nel mercato. Tale flusso è evidenziato anche dal fatto che il ticket medio di transazione è drasticamente calato nei mesi recenti di rialzo del mercato ed i volumi medi degli ultimi 30 gg sono inferiori del 40% a quelli di un mese fa. L’attività continua a concentrarsi solo sui principali titoli delle grandi società che, operando in un contesto di oligopolio o monopolio, riescono ad evidenziare una tenuta dei profitti migliore rispetto al resto del mercato, ma comunque in contrazione. L’indice SPX resiste solo grazie a 10 titoli, e la concentrazione del portafoglio è tale che solo un investitore retail può accettarla, imponendo agli investitori professionali una diversificazione che produce sistematicamente under performance rispetto agli indici. La grande attività degli algoritmi (70% dei volumi) facilita la manipolazione degli indici nel breve termine ed evidenzia la fragilità strutturale del mercato e non la sua forza (come molti credono).

Prendiamo il caso della notizia sul Debt Ceiling. La “creazione del consenso” riguardo a una view è fatta dai media e dalla ricerca delle case d’investimento, che si focalizzano su una notizia che viene trattata con uno spazio molto più importante rispetto ad altre (es. fallimenti bancari e dei futuri problemi sul credito all’economia). Il focus delle informazioni sul Debt Ceiling porta l’attenzione degli algoritmi sulla probabilità degli eventi conseguenti positivi o negativi. Poiché la probabilità di un default Usa è molto bassa mentre quella di trovare un accordo è decisamente più alta, lo spostamento del focus del mercato su un evento ad alta probabilità positiva crea un bias positivo degli algoritmi sul mercato. Ma questo accade mentre gli “umani” avevano dato maggiore peso alle notizie provenienti dal settore bancario e alle conseguenze di una restrizione del credito all’economia. Le mosse degli “umani” hanno portato a sottopesare il mercato per un evento che l’industria finanziaria, grazie alla macchina mediatica di “creazione del consenso”, ha ora posizionato in secondo piano. L’impatto congiunto di banche d’investimento, media finanziari e algoritmi, riesce a spostare il focus di breve termine su notizie che possono avere una distribuzione statistica di eventi positivi favorevoli (sempre nel breve termine), mettendo in secondo piano eventi che hanno invece risultati statistici più negativi al 90% (restrizione del credito). Basta quindi spostare il focus delle notizie e delle analisi da una notizia di mercato che poteva essere destabilizzante a qualcosa che ha elevate probabilità di non esserlo. La stessa cosa è stata implementata con il rialzo sui tassi d’interesse. A un certo punto, dopo un iniziale impatto negativo sui mercati, il focus dei media finanziari si è spostato sul Fed Pivot. Nonostante i tassi salissero, il mercato saliva comunque, dato che l’approccio Quant dell’algoritmo legge ogni rialzo come una probabilità sempre minore di rialzi futuri. In questo modo, mentre gli “umani” leggono il rialzo dei tassi come un fenomeno che porterà ad un impatto futuro negativo sui fondamentali, la macchina lo legge come un fenomeno negativo destinato invece a sparire man mano che si accentua.

Ovviamente la macchina non elabora cosa accadrà all’economia a causa di una modifica del corso del denaro, dato che quello che conta per gli algoritmi è il breve periodo e non il lungo periodo. Tutto questo meccanismo, creato ad hoc per sostenere il mercato nelle fasi critiche, alimenta il buy on dip degli algoritmi e del day trading del retail, con l’esplosione dei volumi sulle opzioni a scadenza giornaliera, dove l’unico interesse è quello di “scommettere” sull’esito di un evento di breve periodo. Nel frattempo però i fondamentali sottostanti continuano a deteriorarsi ma ovviamente l’algoritmo non se ne può accorgere, dato che la strategia e quella di dargli in pasto eventi di breve termine per tenerlo occupato su fenomeni ad alta probabilità di evento positivo. Accade così che quando si manifestano eventi improvvisi negativi non prevedibili dagli algoritmi, il mercato cade nel vuoto perché l’algoritmo è programmato per interrompere la sua attività nel momento in cui “non capisce” alcuni spostamenti di prezzo innescati da eventi esterni. Si verificano così le cadute verticali del mercato, dove è praticamente impossibile vendere, e gli algoritmi, sorpresi da eventi non “programmati in anticipo”, si spengono e interrompono l’operatività abbandonando il mercato.

La struttura attuale del mercato azionario americano sembra studiata per evitare impatti negativi provocati dalle “mini crisi” ma non può impedire il deterioramento inesorabile e ormai costante dei fondamentali, che procureranno comunque la crisi del sistema. È ovvio che tutto quello che viene fatto attraverso questi meccanismi di manipolazione serve a fare in modo che gli asset investiti rimangano focalizzati di volta in volta sugli eventi di breve periodo, cercando di far perdere importanza alle dinamiche fondamentali. I fallimenti bancari non sono un indicatore di un economia solida e prospera.

È comunque evidente che questo sistema non convince quasi più nessuno, dato che in questi anni abbiamo assistito a vari tentativi di “fuga dal sistema” finiti anche male. Trilioni sui Private Markets, centinaia di miliardi sulle criptovalute, e recentemente fughe di capitali sull’Oro (con le Banche centrali di tutto il mondo in prima fila in questo flusso). I bond di breve termine ad alto rating creditizio attirano capitali a ritmi molto più elevati dei mercati azionari, dato che i flussi di acquisto sui Titoli di Stato continuano nonostante i tassi reali su tali investimenti siano sempre negativi. Anche questo flusso è una conferma di una minore propensione al rischio. Molti sentono puzza di bruciato se anche Warren Buffet aumenta il cash in portafoglio. È ovvio che questi tentativi di manipolazione non potranno modificare comunque i fondamentali sottostanti, che continueranno a peggiorare inevitabilmente e metteranno il sistema finanziario americano in una posizione di insostenibilità sia fiscale che finanziaria (oggi il debito estero Usa è il 90% del Pil vs il 45% del 2008).

Il cedimento dei consumi è già iniziato e, guarda caso, la lotta sul Debt Ceiling si concentra sui sussidi ai cittadini americani che non riescono ad arrivare a fine mese, sussidi pubblici che hanno finora sostenuto i pagamenti delle rate sul debito privato contratto in questi anni e hanno impedito l’impennata dei default sul credito durante e dopo il Covid. Le banche hanno iniziato ad aumentare gli accantonamenti sui crediti, proprio in attesa di una netta riduzione di sussidi e una fine delle moratorie sui debiti (Student Loans in particolare), che stanno giungendo a scadenza proprio a giugno, guarda caso con il raggiungimento del tetto sul debito. Un eventuale accordo sul tetto del debito Usa avrà comunque un impatto restrittivo sulla politica fiscale, proprio mentre quella monetaria sarà ancora più restrittiva, a causa della contrazione del credito bancario dovuto alla crisi delle banche e mentre gli effetti del rialzo dei tassi inizia solo ora a farsi sentire. Infatti un accordo è possibile solo se si riducono le spese e il deficit che, per erogare sussidi e aiuti di stato, è in una traiettoria insostenibile. I problemi dell’economia Usa erano già molto evidenti a fine 2019 e l’evento Covid è stato un grande “colpo di fortuna” per mascherarli con il più grande intervento di salvataggio della storia, che ha permesso così di salvare i segmenti del credito più speculativo che erano già in crisi, ma che ha ulteriormente ingigantito la sua dimensione e il suo peso sull’economia. Dal 2021 a oggi abbiamo fatto solo un colossale rollover di un eccesso di debito privato speculativo non rimborsabile (Subprime, High Yield, Leverage Loans, Private Debt) e non sostenibile, dato che per sostenerlo il settore privato americano ha attinto a piene mani dai sussidi di stato.

A un certo punto, il sistema capitalistico americano ha chiesto l’intervento statale per mantenersi e riuscire a pagare il debito fatto per sostenere consumi e Pil. L’indice del mercato azionario è rimbalzato su tali interventi (insostenibili) ma rimane tuttora solo un fuorviante indicatore per far credere che sia tutto ok. Gli algoritmi non possono cambiare un sistema in crisi, possono solo aiutare, nel breve periodo, a manipolare un mercato che non è più sostenuto dai fondamentali. Cercare di sostenere a oltranza un mercato su livelli poco difendibili, mentre i fondamentali sono già in evidente cedimento da tempo, aumenta gli spazi di downside e peggiora la situazione, dato che la tenuta del mercato dipende sempre meno dagli investitori e sempre più dalla speculazione di breve termine. Al momento nessuna economia (Cina, Usa, Europa) sembra nelle condizioni di poter contrastare il cedimento innescato dalla fine degli stimoli fiscali e monetari post Covid, gli unici fattori che hanno sostenuto il rimbalzo del ciclo negli ultimi 12/18 mesi.
È evidente che gli algoritmi non possono cancellare la macroeconomia che, in modo sempre più pronunciato, fa emergere fondamentali in netto e progressivo peggioramento in tutte le principali economie (il consenso creato sul China reopening è un flop). Nel frattempo, le aspettative di una imminente inversione della traiettoria dei tassi d’interesse (Fed Pivot), si stanno decisamente ridimensionando mentre i bond sono tornati ad essere il competitor degli investimenti in equity dopo 14 anni di Qe. Questo evento è strutturale e conferma la nostra view strategica: long bonds e short equity.

di di Maurizio Novelli gestore del fondo Lemanik Global Strategy, riportato da Milano Finanza

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